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Sergio Leone - La trilogia del dollaro

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I primi anni sessanta non sono, per il cinema italiano, anni di vitalità straordinaria. L'epoca dei film neorealisti, di quel cinema del dopoguerra fervido di idee e di voglia di ricominciare, è alle spalle. Il cinema d'autore, in debito d'ossigeno, vive una fase di stanca; difatti gli schermi si popolano di peplum e di film d'importazione, di piccole commedie all'italiana o di timidi film sexy, che avranno la loro consacrazione agli inizi degli anni settanta.

Il quadro d'assieme ha tinte opache. Non ci sono molte idee, e ci si arrangia alla meglio.

Nel 1964 esce un film filmato da Bob Robertson, "Per un pugno di dollari".

E' un film girato in stretta economia, con attori quasi sconosciuti, fra i quali spiccano l'americano Clint Eastwood e l'italiano Gian Maria Volontè.
Il genere è il western, che in Italia ha avuto sempre un discreto successo.
Il canovaccio classico fino a quel momento aveva visto come protagonisti i rudi cowboys, i pellerossa generalmente cattivi e dipinti come selvaggi senz'anima e i prodi e baldanzosi soldati a cavallo.
Il film di Robertson, dietro il cui pseudonimo si cela l'italianissimo Sergio Leone, era stato girato quasi per scommessa.
E diventa un autentico caso internazionale.
Alla sua uscita brucia tutti i botteghini, arrivando ad incassare la cifra record di tre miliardi di lire. L'enorme scalpore suscitato dal film portò alla ribalta il suo autore, che potè finalmente mostrare a tutti la sua identità. Non un regista americano,ma un italianissimo figlio d'arte. Robertson, difatti, significa figlio di Roberti, pseudonimo usato dal padre Vincenzo Leone.
La trama del film è sostanzialmente molto semplice: in un paese del confine messicano arriva un cavaliere senza nome. Affronta una banda che terrorizza la zona, la sbaraglia e scompare nel nulla, in silenzio, così com'era arrivato.
Di lui non si sà nulla, nemmeno il nome.
Il film era stato girato come già detto in stretta economia, in Spagna.
Leone si era ispirato volutamente ad un'opera del 1961 di Akyra Kurosawa, "La sfida del samurai". Lo straordinario successo del film costa a Leone una denuncia di plagio, che si concluderà con una condanna: in Giappone, Corea e Formosa i diritti esclusivi del film saranno introitati dalla casa di produzione di Kurosawa, assieme al 15% dei diritti mondiali. Leone reagirà sarcasticamente, ricordando che a maggior ragione avrebbero duvuto sentirsi defraudati Stevens, autore del "Cavaliere della valle solitaria" e Goldoni, autore di "Arlecchino servo di due padroni".
"Per un pugno di dollari" diventa un caso di costume. Ci si interroga sui reali perchè del suo successo, che al momento non vengono capiti per intero.
Eppure la risposta è semplice: il ruolo del giustiziere senza macchia e senza passato ha sempre avuto un fascino rilevante sullo spettatore.
Il film di Leone è tirato senza sorrisi e senza pause: ha una colonna sonora sontuosa, composta da un vero maestro, Ennio Morricone; Eastwood ha un volto assolutamente perfetto, con quell'espressione monocorde che lo caratterizza, così come è perfetto Gian Maria Volontè, luciferino, diabolico, con un volto da cattivo scolpito nella pietra. I paesaggi arsi e desolati ricordano nell'immaginario collettivo la terra di frontiera, quel confine messicano che nessuno conosce dal vivo, ma che tutti immaginano esattamente com'è nel film.

Il successo del film porta Leone a replicare l'esperimento.

Nasce "Per qualche dollaro in più", che migliora qualitativamente la recitazione, la suspence e il ritmo narrativo. Nel film, alla coppia già sperimentata Eastwood-Volontè si aggiunge un altro caratterista del cinema western americano, Lee Van Cleef. La colonna sonora è nuovamente affidata a Morricone e tra i comprimari vengono scritturati attori molto bravi tra i quali spiccano Kijnskj e Pistilli.
Tecnicamente "Per qualche dollaro in più" è perfetto. Non ha cedimenti, è teso come una corda di violino ed è un film tutto al maschile. L'unica donna compare per qualche secondo solo nella rievocazione della storia del colonnello Mortimer, nelle scene memorabili del carillon, autentico colpo di genio del regista. La caccia a Indio, il cattivo in assoluto del film, la strana alleanza tra lo straniero monco e il colonnello, fino all'olocausto finale, sono quanto di più affascinante prodotto fino ad allora nel cinema western.
Ancora una volta la scenografia è limitata al massimo: l'ambientazione è pressochè la stessa di "Per un pugno di dollari", le musiche sono praticamente un seguito, ampliato e reso armoniosamente "commerciale" di quelle del film precedente.
In effetti è passato solo un anno, dallo straordinario successo di "Per un pugno di dollari", ma Leone appare già più maturo, più attento ai particolari, più regista d'atmosfera, in definitiva.

Adesso può dedicarsi ad un opera più complessa, più ambiziosa delle precedenti, un'opera che abbia lo stesso percorso iniziale, ma che sia anche una visione più universale, che abbia dentro qualcosa che non sia solo l'azione o la caratterizzazione del personaggio.

Nasce così "Il buono,il brutto e il cattivo", forse il più completo della trilogia, disteso com'è su un arco temporale di tre ore di proiezione.
C'è ancora Clint Eastwood, l'attore che aveva solo due espressioni: "con il cappello e senza il cappello", come affettuosamente faceva notare Leone; c'è ancora Lee Van Cleef, questa volta nella parte del cattivo, uno spietato e opportunista "Sentenza". Ma c'è sopratutto Eli Wallach, faccia dannata, ma di una simpatia che appare immediata pur nel ruolo non facile del fuorilegge: Tuco è quasi italiano, nella sua psicologia, furbo e opportunista, comico e irriverente.
La colonna sonora è affidata ancora a Morricone e funge da ideale trait d'union fra i vari punti del film, che si congiunge in un finale dal sapore ironico, ma commosso. Il duello a tre fra i personaggi del film celebra l'idea iniziale del regista. L'affresco è completo, con i personaggi che sono giunti alla resa dei conti: la musica di Morricone scandisce il tempo, mentre la camera da presa indulge sui volti dei protagonisti.
Biondo, Tuco e Sentenza si squadrano, nell'attesa spasmodica degli spari che sanciranno la vita o la morte. Ed è proprio Sentenza a perire, mentre Tuco viene costretto a restare in bilico, ancora una volta, con una corda al collo.

Ma il lieto fine, ironico, c'è, mentre si alza fortissimo il grido del fuorilegge:
"biondo, sai di chi sei figlio tu? Di una grandissima putta.....aaaaaaaaaaaaaaaaa!

Scorrono i titoli di coda, con la musica di Morricone. E' la chiusura di un percorso ideale, quello iniziato con Per un pugno di dollari.
Ma in quest'ultimo film, grazie anche ai tempi più dilatati, c'è spazio per un Leone che sottolinea la follia della guerra, simboleggiata dalla grandiosa scena della distruzione del ponte; o anche dalla scena della morte del soldato, al quale Biondo accende simbolicamente la sigaretta.
Spazi di comicità e di violenza, alternati ad un ritmo meno ossessivo e meno rigoroso dei due film precedenti.
E' questa fondamentalmente la novità di "Il buono il brutto e il cattivo".
Biondo e Tuco hanno più sfumature, sono delineati meglio rispetto ai personaggi dei primi due film: c'è spazio per qualche notizia in più sul passato, anche se limitato solo al personaggio di Tuco. Che appare come una vittima, più che come un bandito.
Memorabile il duetto con il fratello prete:

"Dalle nostre parti o scegli di fare il prete o scegli di fare il bandito.....Io ho scelto la parte più difficile", dice Tuco.

Un pò di moralismo, che però si inserisce alla perfezione nell'impianto narrativo. Così come si inserisce splendidamente la comicità fulminante di Biondo, come nel caso dell'incontro con i soldati:
"Dio non è con noi, perchè anche lui odia gli stupidi"

Il giustiziere solitario, la vendetta, infine la guerra di secessione e la brama di denaro. Tre argomenti diversi, per tre trame distinte ma unite da un filo conduttore, ovvero raccontare un West diverso, meno epico e più individualista.
Man mano che il suo progetto cresce, cresce la maestosità delle scene, che raggiunge il culmine con "Il buono il brutto e il cattivo".
E' l'apoteosi di Leone, che diventerà ancor più visibile con "C'era una volta il West".

Per quasi quarant'anni il cinema italiano continuerà a interrogarsi, con stupore, sul successo straordinario delle produzioni di Leone.
Che daranno il via ad una selvaggia opera di imitazione, con oltre 400 film prodotti sulla scia dei tre capostipite. Da "Diango" a "Sartana" a "Ringo", si tenterà di emulare il personaggio vincente del giustiziere solitario come del Monco e/o del Biondo.

E i tre film diventeranno curiosamente oggetto di studio, nonchè di culto, proprio nel paese del selvaggio West.
Che guarderà con ammirazione ad un cinema essenziale, senza fronzoli, girato con tante idee e pochi soldi come quello di Leone.

Inizia la trilogiaUn grande successoUn capolavoro. Si chiude la trilogiaSergio LeoneEnnio Morricone

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