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La dama dei veleni (1979)
Programmazione
Prima puntata: venerdì 31 agosto, ore 20.40, Rete 2
Seconda puntata: venerdì 7 settembre, ore 20.40, Rete 2
Terza puntata: venerdì 14 settembre, ore 20.40, Rete 2
Soggetto
Tratto dal romanzo “The Burning Court” (1937) di John Dickson Carr
Sceneggiatura di Giovannella Gaipa.
Interpreti
Ugo Pagliai .... Dario Gherardi
Susanna Martinkova .... Marie D’Aubray
Warner Bentivegna .... Carlo Desgrez
Corrado Gaipa .... Guido Santacroce
Giorgio Bonora .... Cesare Urbinati
Alessandro Sperlì .... commissario La Volpe
Annamaria Gherardi .... Gaetana Bianchi
Paola Bacci .... Giulia Desgrez
Angela Cardile .... Marta Desgrez
Luigi Basagaluppi .... Bruno Desgrez
Manlio Guardabassi .... Maurizio Desgrez
Attilio Cucari .... il Perelli
Gabriella Giacobbe .... Agata Perelli
Enrico Lazzareschi .... maresciallo Calvesi
Luisa Aluigi .... Imelda Porro
Ettore Ribotta .... agente
Evar Maran .... agente
Pietro Recanatesi .... agente
Giorgio Tasini .... agentie
Sepp D’Amore .... speaker tv
Cast tecnico
Regia: Silverio Blasi
Luci: Franco A. Ferrari
Fotografia per le riprese filmate: Massimo Sallusti
Scenografia: Emilio Voglino
Arredamento: Luigi D’Andria
Costumi: Antonella Cappuccio
Direttore del doppiaggio: Giorgio Bonora
Musiche: Bruno Nicolai
Produzione a cura di: Mario Angelo Ponchia
Trama
Prima puntata
Dario Gherardi, giovane dirigente di una casa editrice, sposa Marie D’Aubray, una ragazza franco-canadese che ha conosciuto a Parigi. Una sera Dario, sfogliando il libro di un suo autore (il criminologo Guido Santacroce), si trova tra le mani la fotografia di una criminale francese ghigliottinata per veneficio nel 1861; il suo volto assomiglia a quello della moglie, e anche il nome è lo stesso. Turbato, Dario raggiunge Marie nella villa di campagna in cui la coppia trascorre i week-end e le chiede chiarimenti circa una sua ipotetica discendenza dalla donna della foto; Marie nega, e la discussione viene interrotta dall’improvviso arrivo di Carlo Desgrez, loro vicino e amico, accompagnato da un medico radiato dall’albo, Cesare Urbinati (un tempo fidanzato di Marta, sorella di Carlo). Carlo comunica a Dario una notizia sconcertante: suo zio Maurizio Desgrez non è morto, come si credeva, di gastrite, ma è stato avvelenato; per averne la certezza, egli intende effettuare, col dottor Urbinati, un’autopsia segreta, e chiede a Dario di fargli da testimone, quella stessa notte, approfittando dell’assenza della moglie Giulia e della sorella Marta. Marie predice al marito che non troveranno nulla dentro la tomba; e infatti, aperta la bara, Dario e Carlo vi trovano solo una funicella con nove nodi, la cosiddetta ‘scala della strega’. Il gruppo si ritira allora a villa Desgrez, e qui Carlo racconta una strana storia: la vecchia governante, signora Perelli, ha visto la notte del supposto delitto una misteriosa figura di donna in abito secentesco, e con la testa malferma sulle spalle, salire le scale con una tazza in mano, entrando nella camera del vecchio malato e scomparendo poi senza lasciare traccia; la figura indossava lo stesso costume che vestiva quella stesa notte a un ballo in maschera Giulia Desgrez, che l’aveva copiato da un ritratto (dal volto sfigurato) appeso nel salone di villa Desgrez: il ritratto della famosa avvelenatrice del ’600 Marie D’Aubray, marchesa di Brinvilliers. Tra la famiglia Desgrez e la diabolica protagonista dell’affare dei veleni esiste un antico legame: fu infatti un antenato dei Desgrez ad arrestarla. Tornato a casa sua, Dario ha una nuova sorpresa: la moglie è scomparsa lasciandogli un biglietto in cui lo prega di avere fiducia in lei; con la donna è però sparita anche la fotografia della Marie D’Aubray ottocentesca.
Seconda puntata
Dario trascorre una notte agitata, popolata di incubi concernenti l’inquietante serie di coincidenze con cui si è trovato a che fare: c’è infatti la somiglianza tra sua moglie e la sua omonima giustiziata sotto Napoleone III; c’è poi l’ombra della marchesa di Brinvilliers, anch’essa una Marie D’Aubray; c’è quindi il nome del criminologo Guido Santacroce, simile a quello del capitano Gaudin de Sainte-Croix, marito della marchesa secentesca; c’è infine il titolo dell’opera del criminologo, “Il caso dell’amante non morta”, che ricorda la frase detta prima di morire dal vecchio Maurizio Desgrez al nipote Carlo: «sono perseguitato dai non-morti, figli della notte e dell’inferno». Dario è destato dall’inattesa visita dell’infermiera Gaetana Bianchi, che aveva assistito il vecchio Desgrez; costei vuole confidargli qualcosa, ma ne è impedita dall’arrivo di Bruno, il minore dei Desgrez. Il giovane, dietro un’atteggiamento da ragazzino viziato e petulante, nasconde un temibile fiuto: subito subodora, malgrado gli impacciati dinieghi di Dario, la scomparsa di Marie. Giunge quindi la polizia, con alla testa il commissario La Volpe, informato da una lettera anonima che un delitto è stato commesso a villa Desgrez. I sospetti si addensano sull’assente Marie anche perché sia Bruno, sia l’infermiera la accusano di aver chiesto come procurarsi dell’arsenico. Il commissario non è convinto della colpevolezza di Marie; crede invece che la chiave di tutto sia un passaggio segreto che collegherebbe la camera del vecchio Desgrez con la cripta. Intanto il Perelli, uomo di fatica dei Desgrez, giace a letto tramortito da un violento shock: dichiara di aver visto su una sedia a dondolo il redivivo Maurizio Desgrez. Marta afferma di poter chiarire il mistero grazie a un libro sulla stregoneria, dove si parla di un unguento magico che permetterebbe di attraversare i muri. Irritato e insospettito da tali affermazioni, il commissario inizia a convincersi dell’innocenza di Marie. Quest’ultima riappare a Dario (che si è soffermato nella locale agenzia delle pompe funebri scoprendo l’origine tutt’altro che soprannaturale della cordicella a nove nodi), ma gli è impedito di raggiungere la moglie dall’arrivo di un uomo che sostiene di essere Guido Santacroce.
Terza puntata
Santacroce (che si chiama in realtà Mosè Ovazza) rivela a Dario Gherardi che Marie è stata da lui ed è riuscita finalmente a liberare da ogni fantasma la sua anima. Nella storia di Marie non c’è nulla di soprannaturale e la leggenda dei ‘non-morti’ non è che un espediente escogitato dal vero assassino per depistare la polizia; Marie è in realtà un’orfana di origine italiana (il suo vero nome è Mariella D’Agata) che fu adottata all’età di tre anni da Adrienne D’Aubray, una pazza discendente della famiglia D’Aubray, rifugiatasi in Canada. Santacroce, riaccompagnando Dario a casa, si fa raccontare gli ultimi sviluppi delle indagini, deciso a smascherare il vero colpevole. Frattanto scoppia una lite furibonda in casa Desgrez: Carlo picchia violentemente il fratello Bruno, il quale per ripicca rivela a Giulia, moglie di Carlo, alcune verità imbarazzanti. Si scopre così che Carlo ha tuttora un’amante — una certa Gemma Russo — e conduce una vita non troppo chiara; dopo un drammatico confronto con la moglie, Carlo lascia la villa. Dario e Marie, invece, si riconciliano. A questo punto giunge una telefonata improvvisa: sono convocati tutti in casa dei Desgrez: Guido Santacroce ha scoperto il colpevole e intende ricostruire la verità davanti a tutte le persone coinvolte nella vicenda. Dopo un’accurata esposizione dei fatti, il criminologo conclude che l’assassina è l’infermiera Gaetana Bianchi, ossia Gemma Russo, l’amante di Carlo: i due avrebbero organizzato il delitto affinché Carlo, in precarie condizioni finanziarie, ereditasse dal defunto zio; il cadavere, inoltre, non era scomparso come sembrava, bensì abilmente nascosto. Santacroce, concludendo tra le proteste dell’accusata la sua requisitoria, beve un bicchiere e stramazza al suolo: è stato avvelenato. Ciò pare rafforzare gli indizi contro l’infermiera, che gli ha porto il bicchiere: il commissario La Volpe dichiara la donna in arresto. Qualche tempo dopo, mentre la televisione dà la notizia dell’ergastolo comminato alla Bianchi e della latitanza di Carlo Desgrez, emerge l’inquietante verità: Marie, materializzatasi attraverso una parete, dichiara di essere realmente una ‘non-morta’. Marie conclude affermando il proposito di trasformare anche Dario in un ‘non-morto’.
Lo sceneggiato
Nel 1977 la scomparsa del giallista americano John Dickson Carr contribuì a ridestare un po’ ovunque interesse nei confronti della sua opera. La Rai mise in cantiere un paio di sceneggiati tratti da suoi romanzi — “The Burning Court” e “Fire, Burn!” — che andarono in onda nel 1979: si trattava appunto de “La dama dei veleni” e “Morte a passo di valzer” (quest’ultimo diretto da Giovanni Fago e andato in onda nell’ottobre ’79). Sempre tratti da romanzi di Dickson Carr, nel marzo del 1982 andarono poi in onda, all’interno della serie “Dentro una stanza chiusa”, altri due sceneggiati in puntata unica: “L’occhio di Giuda” (diretto da Paolo Poeti) e “Tre colpi di fucile” (per la regia di Daniele D’Anza).
La storia escogitata da Dickson Carr in “The Burning Court” sembra fatta apposta per essere trasformata in uno sceneggiato fantastico Rai; gli ingredienti canonici sembrano infatti esserci tutti: un presunto caso di reincarnazione, un’atmosfera sospesa tra quotidiano e soprannaturale, una donna misteriosa, un ‘eroe’ tormentato che calza a pennello al tipo e alle doti interpretative di Ugo Pagliai.
Mentre la storia originale era ambientata negli Stati Uniti — e precisamente tra New York e la cittadina di Crispen — del 1929, la sceneggiatura elaborata da Giovannella Gaipa trasporta la vicenda nell’Italia (Roma e dintorni) di cinquant’anni dopo. Ovviamente anche i nomi dei personaggi, tranne quello della protagonista Marie D’Aubray, sono stati cambiati, secondo il prospetto che segue:
Edward Stevens ? Dario Gherardi
Mark Despard ? Carlo Desgrez
Ogden Despard ? Bruno Desgrez
Edith Despard ? Marta Desgrez
Miles Despard ? Maurizio Desgrez
Lucy Despard ? Giulia Desgrez
Tom Partington ? Cesare Urbinati
Joe Henderson ? il Perelli
Althea Henderson ? Agata Perelli
Myra Corbett (Jeannette White) ? Gaetana Bianchi (Gemma Russo)
capitano Frank Brennan ? commissario Giovanni La Volpe
Gaudan Cross (Alfred Mossbaum) ? Guido Santacroce (Mosè Ovazza)
Jonah Atkinson ? Imelda Porro
Maggie MacTavish ? Mariella D’Agata
Strutturalmente “La dama dei veleni” è simile al precedente sceneggiato ‘gotico’ di Silverio Blasi, “Il fauno di marmo” (1977): in entrambi i lavori, infatti, a una prima puntata in cui il mistero si insinua improvvisamente a turbare l’ordine naturale delle cose e a sconvolgere le vite dei personaggi, seguono una seconda interlocutoria, ‘di raccordo’, e una terza in cui il ‘caso’ soprannaturale pare sgonfiarsi e il mistero spiegarsi razionalmente, salvo vedere ribaltate completamente, nelle ultimissime scene, le conclusioni apparentemente raggiunte, con gli telespettatori perplessi e incerti sulla reale piega presa dagli eventi. Per certi versi qui il finale è ancora più sconcertante che nell’opera precedente: se alla fine del “Fauno” restava infatti un margine di incertezza circa la reale natura del Persecutore e la credibilità della sua maledizione, qui la scena (assente nel romanzo di Dickson Carr) in cui Marie si materializza attraverso una parete per esporci la sua incredibile versione dei fatti lascia ben pochi margini di dubbio. Mentre al lettore del libro viene concessa la possibilità di dubitare sulla spiegazione da dare agli eventi (in fondo il racconto di Marie può anche non essere creduto), tale opzione è stata eliminata dagli autori dello sceneggiato, il cui finale è dichiaratamente soprannaturale.
“La dama dei veleni” fu girato nei primi mesi del 1978 a Roma e in alcune località del Lazio, tra cui Frascati e il suggestivo ‘Parco dei mostri’ di Bomarzo. La scelta del bianco e nero – in un momento in cui la tv a colori stava vivendo in Italia un vero e proprio boom – sembra dettata, oltre che da ragioni di budget, anche da precise motivazioni stilistiche, dalla volontà cioè di inserirsi nel filone dei classici sceneggiati gotico-parapsicologici (“Il segno del comando”, “ESP”, “Malombra”, “Ritratto di donna velata”) che tanto successo avevano riscosso negli anni precedenti.
Il brano musicale che costituisce la sigla dello sceneggiato è opera di Bruno Nicolai; caso piuttosto raro, non si tratta di un tema composto appositamente ma del riutilizzo di un brano già esistente: intitolato “Murder”, faceva parte della colonna sonora del film “Il tuo vizio è una stanza chiusa e solo io ne ho la chiave”, un discutibile sexy-thriller girato da Sergio Martino nel 1972.
“La dama dei veleni” è il canto del cigno di un genere, l’ultimo esempio di sceneggiato gotico d’impianto classico. Con il 1979, d’altra parte, si chiude per la nostra tv il decennio ‘fantastico’ per eccellenza; gli anni ’80 segneranno un graduale ma inesorabile declino del genere, che alla televisione di stato sarà rappresentato esclusivamente da serie di episodi autonomi diretti perlopiù da registi esordienti, e caratterizzati da budget limitato, taglio sperimentale e qualità altalenante.
“La dama dei veleni” è oggi uno dei titoli più ricercati dagli appassionati e dai collezionisti di rarità televisive d’epoca; qualcuno sostiene che la prima puntata sia andata perduta, secondo altri lo sceneggiato sarebbe tuttora custodito, nella sua integrità, negli archivi Rai. Ad ogni modo, uno spezzone della puntata in questione è andato in onda all’interno del programma di Raidue ‘Stracult Show’ il 30 giugno 2009.
L’inclusione della ‘Dama’ nella collana di dvd ‘Giallo & Mistero’ della Fabbri Editori è invocata da più parti, ma al momento tale richiesta non sembra destinata a venire esaudita.
Il romanzo
Uscito negli USA nel 1937, il libro di Dickson Carr fu subito tradotto in italiano con il titolo “Terrore al castello” e pubblicato dall’editore romano Casini. Nell’ottobre del 1979, poco dopo la trasmissione dello sceneggiato tv, il romanzo fu ripubblicato in una nuova traduzione integrale nei ‘Classici del giallo’ Mondadori, con il titolo “La corte delle streghe”. Lo stesso titolo porta l’edizione più recente e più facilmente reperibile, quella del 2002 nella collana Oscar Varia.
Le osservazioni più interessanti sul romanzo di Dickson Carr sono probabilmente quelle espresse dal noto studioso bulgaro-francese Tzvetan Todorov nel suo saggio “La letteratura fantastica”, di cui mi sembra utile riportare qualche brano:
"Vi è un autore sul quale vale la pena di soffermarsi più a lungo, quando si tratta della relazione tra romanzi gialli e storie fantastiche: si tratta di John Dickson Carr. Nella sua opera, troviamo infatti un libro che pone il problema in modo esemplare: “The Burning Court”. [...] Ci troviamo davanti a un problema apparentemente insolubile per la ragione: quattro uomini aprono una cripta dove qualche giorno prima è stato deposto un cadavere. La cripta è vuota e non è possibile che qualcuno nel frattempo l’abbia aperta. C’è di più: nel corso di tutta la storia, si parla di fantasmi e di fenomeni soprannaturali. Il delitto compiuto ha avuto un testimone [che] afferma di aver visto l’assassina lasciare la camera della vittima attraversando il muro in un punto in cui duecento anni prima esisteva una porta. Inoltre, una delle persone implicate nella vicenda, una giovane donna, crede di essere una strega, e più esattamente un’avvelenatrice (il delitto è stato compiuto con il veleno) che apparterrebbe a un tipo particolare di esseri umani: i non morti. «In poche parole, i non morti sono quelle persone — soprattutto donne — che sono state condannate a morte come avvelenatrici e i cui corpi sono stati bruciati sul rogo, morti o vivi», come sapremo in seguito. Ora accade che, sfogliando un manoscritto ricevuto dalla casa editrice presso cui lavora, Stevens, il marito della donna, s’imbatta in una fotografia sulla quale è scritto: Marie d’Aubray, ghigliottinata per assassinio nel 1861. Il testo continua: «Era una fotografia della moglie di Stevens». In che modo, circa settant’anni dopo, la giovane donna e un’avvelenatrice del secolo scorso, per di più ghigliottinata, potrebbero essere la stessa persona? Molto facilmente, se si deve credere la moglie di Stevens che è pronta ad addossarsi la responsabilità dell’assassinio attuale. Una serie di altre coincidenze sembra confermare la presenza del soprannaturale. Infine arriva un detective e tutto comincia a chiarirsi. La donna che avevano visto attraversare il muro era un’illusione dei sensi provocata da uno specchio. Il cadavere non era scomparso, ma abilmente nascosto. La giovane Maria Stevens non aveva niente in comune con le avvelenatrici morte da tempo benché si fosse tentato di farglielo credere. Tutta quella atmosfera di soprannaturale era stata creata dall’assassino per ingarbugliare la vicenda, per sviare i sospetti. I veri colpevoli vengono scoperti anche se non si riesce a punirli. Ed ecco un epilogo grazie al quale “The Burning Court” abbandona la categoria dei romanzi gialli, i quali evocano semplicemente il soprannaturale, per entrare in quella dei racconti fantastici. Si vede di nuovo Maria, in casa, che ripensa alla vicenda; e il fantastico risorge. Maria afferma (al lettore) che è proprio lei l’avvelenatrice, che il detective era in realtà amico suo (il che è vero), e che ha fornito tutta la spiegazione razionale per salvare lei, Maria [...]. Il mondo dei non morti riprende i suoi diritti, e con esso il fantastico: eccoci in piena esitazione sulla soluzione da scegliere. Ma in definitiva bisogna pure ammettere che in questo caso non si tratta tanto di una somiglianza tra due generi quanto della loro sintesi."
(da T. Todorov, “La letteratura fantastica”, Garzanti, 2000, pag. 53-55).
Considerazioni teoriche a parte, si tratta di un ottimo romanzo, avvincente dalla prima all’ultima pagina; se si è apprezzato lo sceneggiato, o se si ama comunque il genere gotico-parapsicologico, è una lettura caldamente consigliata.
Il film del 1962
Lo sceneggiato realizzato da Silverio Blasi non è la prima trasposizione in immagini del romanzo di Dickson Carr. Nel 1962 dal libro fu tratto un film di produzione italo-franco-tedesca, diretto da Julien Duvivier. La pellicola fu intitolata in Italia “I peccatori della Foresta Nera”, titolo assolutamente demenziale che sembra avere l’unica ragion d’esser nel tentativo dei distributori di richiamare alla mente del pubblico un grosso successo di qualche anno prima, “I peccatori di Peyton” (film che non ha ovviamente nulla a che fare con la storia di Dickson Carr). Più ragionevolmente, il film di Duvivier fu intitolato in Francia “La chambre ardente” e in Germania “Das brennende Gericht”; nei paesi anglosassoni il film circola con i titoli “The Burning Court” e “The Curse and the Coffin”.
Anch’esso in bianco e nero, il film è meno fedele al romanzo rispetto allo sceneggiato Rai, e apporta alla storia diverse variazioni. A parte la differente ambientazione (un antico palazzo nella Selva Nera, regione della Germania sud-occidentale al confine con la Francia, nel 1961), la discrepanza più vistosa è la scarsa rilevanza del personaggio di Stevens/Gherardi (quello interpretato da Pagliai, per intenderci). La vicenda è invece incentrata sul maggiore dei fratelli Desgrez, qui chiamato Marc, e sulla sua tresca con l’infermiera Myra Schneider (che alla fine del film è assassinata dall’amante). Altra importante differenza è la totale assenza della figura del criminologo Cross/Santacroce, il cui ruolo è parzialmente rimpiazzato dal medico radiato, qui descritto come una sorta di occultista ed esorcista. Infine, la colpevolezza della giovane Marie D’Aubray è qui meno esplicita rispetto al romanzo e allo sceneggiato, anche se la sua natura diabolica è comunque suggerita. Un particolare da sottolineare è l’adozione del cognome Desgrez (in luogo dell’originale Despard), che sarà mantenuto dagli autori dello sceneggiato Rai.
Il film, interessante anche se non del tutto riuscito, è interpretato da Jean-Claude Brialy (Marc Desgrez), Nadja Tiller (Myra Schneider), Edith Scob (Marie D’Aubray), Walter Giller (Michel Boissard, il marito di Marie), Claude Rich (Stéphane Desgrez, il fratello minore), Perrette Pradier (Lucy, la moglie di Marc), Antoine Balpêtré (il dottor Hermann, il medico radiato), Claude Piéplu (il commissario Krauss).
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