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Francis Durbridge e la RAI - Un certo Harry Brent

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Analisi di un fenomeno in una televisione che non c'è più

di A. Scaglioni

5) "Un certo Harry Brent" (1970)

L'ancor più clamoroso successo di "Giocando a golf, una mattina", con i suoi 15 milioni e centomila spettatori di media, ma con punte di oltre venti milioni all'ultima puntata, aprì la strada a quello che fu il momento d'oro del rapporto tra Francis Durbridge e la Rai. Come una storia d'amore, iniziata dapprima timidamente, e irrobustitasi nel tempo grazie alle continue conferme di un reciproco trasporto, esplose con vigore negli anni a cavallo del decennio '60-'70. I fans del giallo televisivo non dovevano più aspettare un triennio per vedere un nuovo sceneggiato del loro autore preferito. I tre gialli successivi di Durbridge, infatti, andarono in onda a circa un anno di distanza l'uno dall'altro, e sempre più o meno a ridosso delle feste natalizie, subito prima o subito dopo, come un ulteriore ed atteso dono. Il giallo era ormai un genere molto frequentato sugli schermi di Mamma Rai, e nei dodici mesi che separavano "Giocando a golf, una mattina" dal nuovo sceneggiato, erano stati trasmessi tra gli altri: "La donna di cuori" con Sheridan, cinque puntate; "I giovedì della signora Giulia", ancora cinque puntate, tratto da un soggetto di Piero Chiara, ma soprattutto "Coralba" di Daniele D'Anza, anche questo in cinque puntate, una grossa co-produzione tra Italia e Germania, una delle prime della Rai che la vedeva associata alla RPA tedesca, e che fu un grandissimo successo, soprattutto qui da noi, grazie anche ad un Rossano Brazzi che ripeteva un po' il personaggio interpretato in "Melissa" (tanto che ci fu chi pensò erroneamente che si trattasse di un seguito di quello sceneggiato). Il soggetto di "Coralba" era firmato da Biagio Proietti, un nome che si sarebbe fatto presto largo tra gli autori televisivi degli anni '70, e di cui avremo modo di parlare tra poco.

Il nuovo giallo di Francis Durbridge s'intitolava invece "Un certo Harry Brent". In realtà, in Inghilterra la versione originale era andata in onda nel 1965 col titolo di "A Man Called Harry Brent", e quindi non si poteva parlare di un copione recentissimo. Di conseguenza ancora una volta al nuovo regista, Leonardo Cortese, che subentrava al veterano D'Anza, si presentava il consueto rischio, incontrato dai suoi predecessori, delle indiscrezioni inopportune sul finale, e con ben cinque anni di storia alle spalle e chissà quante repliche, quel rischio era più presente che mai. Ma Cortese non era un novellino del genere, avendo al suo attivo già le ultime due "donne" di Sheridan, ed in predicato di concludere per l'anno seguente il poker con "La donna di picche". Per cui furono studiati tutta una serie di precauzioni per impedire, nei limiti del possibile, che voci incontrollate filtrassero dal set. Oltre alle solite, quelle classiche del tenere assolutamente secretate le ultime pagine del copione e girare più finali, e quelle più recentemente sperimentate con successo da D'Anza, il cambiamento dei nomi dei personaggi e il rimescolamento dei loro rapporti familiari e professionali, Cortese utilizzò un nuovissimo accorgimento squisitamente tecnico. Tutte le sequenze-chiave della storia furono girate, per così dire, a "pizzichi e bocconi": cioè, spesso a distanza di giorni se non di settimane, per confondere ulteriormente le idee agli stessi protagonisti, venivano girati dei primi piani in cui ogni attore diceva le sue battute, in totale isolamento dagli altri; poi i diversi spezzoni di pellicola venivano montati ad arte tra loro, fino ad assumere, ma solo al momento della trasmissione, un senso compiuto. Un lavoro certosino che il regista si assunse al termine delle riprese e che alla fine risultò più spossante della regia stessa. Quindi si capisce come dalle interviste ai vari attori, al di fuori delle scontate dichiarazioni di prammatica, risaltasse l'assoluta incapacità di questi di dare spiegazioni sensate su quello che avevano effettivamente realizzato, e men che meno, naturalmente, poter farsi scappare, anche involontariamente, il nome del colpevole.

La storia, inoltre, possedeva decise caratteristiche spionistiche, quasi alla 007, con agguati, inseguimenti e omicidi tra le strade di Londra che sembravano fatte apposta per confondere le acque già abbastanza melmose dell'intrigo.
Sam Fielding, piccolo industriale di Sevenoaks, un paesino del Kent, viene apparentemente senza una ragione ucciso a colpi di pistola nel suo ufficio da Barbara Smith, una misteriosa ragazza giunta da Londra per un colloquio di lavoro. Subito dopo la donna fugge e si mette in comunicazione con qualcuno che le dà un appuntamento, ma viene inconsapevolmente salvata dall'intervento della polizia che l'arresta un attimo prima che le sparino. L'assassinio getta lo scompiglio nel tranquillo villaggio e sconvolge la vita della giovane Susan Bates, segretaria di Fielding e prossima alle nozze con il proprietario di un agenzia di viaggi di Londra, Harry Brent. Susan che aveva già dato il preavviso per licenziarsi, si trova di colpo a dovere da sola gestire la ditta lasciata dal defunto, oltre che il lutto per la morte del suo datore di lavoro a cui era sinceramente affezionata. Intanto l'assassina arrestata si rifiuta non solo di dire le ragioni del suo gesto, ma anche solo di aprire bocca. Di fronte all'ostinato mutismo della ragazza, l'ispettore Alan Milton della polizia locale, ed ex-fidanzato di Susan, si trova costretto ad indagare alla cieca su un delitto apparentemente insensato. Niente infatti legava la vittima alla sua assassina. Invece, scopre Milton con sorpresa, dei legami sembrerebbero esserci proprio con Harry Brent, il promesso sposo di Susan che, per ovvie ragioni, Alan non vede con simpatia. Brent e la Smith, infatti, hanno viaggiato insieme nello stesso scompartimento sul treno da Londra e, particolare inquietante, Barbara aveva acquistato un mazzo di fiori che ha poi portato sulla tomba dei genitori di Brent al cimitero di Sevenoaks, prima dell'omicidio. I due allora si conoscevano? La cosa sembrerebbe confermata dal fatto che nella borsa della donna viene rinvenuto un biglietto per uno spettacolo teatrale a Richmond, un sobborgo di Londra, per il posto accanto a quello riservato allo stesso Brent. Questa sequela di indizi compromettenti non trova però spiegazioni nè da parte di Brent che nega ogni coinvolgimento, né tanto meno da parte di Barbara Smith, perché qualcuno la fa tacere per sempre avvelenandola nella cella del posto di polizia dove è rinchiusa. Prima di morire però la donna sussurra il nome di Harry Brent. Ma questo intricato inizio non è che la punta dell'iceberg di un plot in cui si confronteranno servizi segreti, agenti sotto copertura, sicari senza scupoli e un misterioso Signor X, a capo di una sezione inglese di una pericolosa organizzazione internazionale di spionaggio. Naturalmente i cadaveri abbonderanno.

"Un certo Harry Brent", fu il primo giallo di Durbridge ad essere girato per gli interni nei nuovi studi di Napoli (che come vedremo assumeranno sempre più rilievo negli anni a seguire), mentre per gli esterni, tutta la troupe si trasferì come era ormai abitudine sui luoghi reali della storia, e cioè nel villaggio di Sevenoaks, a Londra ed a Richmond.
L'esordio avvenne ancora di domenica ed ancora sul Nazionale, e nuovamente con la formula bisettimanale, andando in onda per sei puntate (ma sarebbe stata l'ultima volta) ogni domenica e martedì alle 21,05 dal 1 novembre 1970, e concludendosi, dopo tre settimane intensissime, il martedì 17 dello stesso mese. Ormai il successo dei gialli di Durbridge sembrava inarrestabile: il gradimento sfondò il muro già altissimo del 82%, toccando quota 83, mentre la media di ascolto si attestò a quasi diciannove milioni di spettatori. Contrariamente a ciò che era accaduto sotto la gestione di Daniele D'Anza, questa volta non fu il regista stesso ad adattare la traduzione della solita puntualissima Franca Cancogni, ma un giovane sceneggiatore con già all'attivo un giallo tv di grande successo, "Coralba", Biagio Proietti, che venne incaricato di intervenire sul copione di Durbridge per trasformare i sei episodi originali di mezz'ora in altrettanti episodi di durata doppia, allungando le scene, moltiplicando i dialoghi, approfondendo le psicologie dei personaggi.

Sfortunatamente, "Un certo Harry Brent" è l'unica versione italiana di uno sceneggiato televisivo di Durbridge che non sono in grado di confrontare con l'originale, non essendo mai uscito nel nostro paese il romanzo omonimo, ed essendomi anche stato fino ad oggi impossibile rintracciarne una copia in inglese o in francese (l'unica edizione disponibile è in tedesco, lingua che mi è, ahimè, sconosciuta!). Quindi non so fino a che punto, Proietti abbia "manipolato", diciamo così, il copione di Durbridge, ma se dovessi sbilanciarmi in un'ipotesi, direi che sia intervenuto sicuramente sulla figura di Alan Milton, interpretato dal bravissimo Roberto Herlitzka. Questo funzionario di polizia, così ostentatamentemente grigio e banale, un tipo che non ti volteresti mai a guardare una seconda volta tanto sembra confondersi con l'ambiente circostante, che guida una macchinuccia quasi fantozziana, il cui aspetto fa a pugni con quello del suo facoltoso ed affascinante rivale in amore, Harry Brent (non a caso interpretato da quell'Alberto Lupo, indimenticato dottor Manson de "La cittadella", che da anni faceva strage di cuori tra le telespettatrici italiane di ogni età), ricorda troppo da vicino alcuni personaggi che Proietti, in coppia con la moglie Diana Crispo, creerà successivamente per i suoi gialli realistici e minimalisti (tipo "Dov'è Anna?), per trattarsi di una pura coincidenza.

Insieme ai già citati Roberto Herlitzka e Alberto Lupo (alla sua prima, ma non ultima, esperienza con Durbridge), vanno ricordati tra gli altri: Enzo Garinei (il sergente Roy Philips) e Stefanella Giovannini (Barbara Smith), rispettivamente fratello e figlia della premiata coppia del musical italiano, Pietro Garinei e Sandro Giovannini; e poi Claudia Giannotti (Susan Bates), Carlo Hintermann (suo fratello Albert), Valeria Fabrizi (la cantante Sarah Miles, che come tale interpreta anche la canzone della sigla finale, la non indimenticabile "Un amico", scritta da lei stessa insieme a Cortese e Rein); Ferruccio De Ceresa e Marzia Ubaldi (i due ambigui coniugi Stone); Carlo Bagno (Sam Fielding) e Walter Maestosi (Bryan Finlay, uno degli spietati killer dell'organizzazione).

Nell'ottica perfetta del gioco poliziesco, Cortese nei titoli di testa trascurò totalmente i nomi degli interpreti e presentò in video gli attori uno dopo l'altro, nell'ordine di apparizione puntata per puntata, semplicemente con i nomi dei rispettivi personaggi, completando la lista ogni volta con l'inquietante ombra sul muro del misterioso capo dell'organizzazione e colpevole principale del giallo, siglato con la dicitura de "Il signor X". Il tutto sulle note di "Roots of Oak", splendida canzone eseguita dal cantante scozzese Donovan. Purtroppo la suggestione di questa sigla, ogni volta differente perché ogni volta era diverso l'ordine di apparizione dei personaggi e perchè ad ogni puntata ne spuntavano di nuovi, si è un po' persa a causa evidentemente del deperimento del nastro originale, che ha costretto i curatori di Rai Teche a sfruttare la sigla della prima puntata anche per due puntate successive (la terza e l'ultima) sciupandone così in parte l'effetto. "Un certo Harry Brent" è andato in onda in questa edizione rimaneggiata diverse volte in questi ultimi anni ed è quella che si trova anche nei DVD. Fortunatamente si sono invece salvati gli splendidi riassunti "disegnati", ad opera di Dino Di Santo, che precedono ogni episodio, ancora un caso di originale sperimentazione in un giallo di Durbridge.

Normalmente in questa mia disamina dei vari sceneggiati di Durbridge, cerco di evitare di raccontare i finali, anche se ormai dovrebbero essere conosciutissimi e stravisti da tutti, ma è una specie di accordo che intercorre tacitamente fra tutti gli appassionati di gialli. In questo caso però dovrò fare almeno parzialmente un'eccezione e prego quindi chi non volesse avere spoilers di saltare questo ultimo paragrafo. Non si può infatti parlare di questo giallo di Durbridge senza citare il tragico e anomalo finale che vide la morte del protagonista della storia, l'amatissimo Alberto Lupo, ucciso inaspettatamente dal bieco capo dell'organizzazione proprio nelle ultime fasi della storia. In questo particolare caso, contrariamente a quanto ho scritto precedentemente, essere stato il colpevole in un giallo a puntate non poté considerarsi una fortuna. In quanto, a quel che si disse, lo sventurato attore che aveva interpretato la parte dell'assassino divenne odiatissimo dai fans di Lupo, tanto da dover cambiare il numero di telefono (ogni giorno riceveva telefonate di insulti da qualcuno che evidentemente era riuscito a conoscere il suo indirizzo telefonico).
Ma chissà, forse anche questa non fu altro che un'invenzione di qualche giornalista particolarmente fantasioso.

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