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Analisi di un fenomeno in una televisione che non c'è più
di A. Scaglioni
9) "Dimenticare Lisa" (1976)
Dopo decenni in cui si era sempre ritenuto che il giallo fosse inadatto ai solatii panorami italiani, e gli intrighi delittuosi inscindibili dalle nebbiose strade di Londra o dai tortuosi vicoli di qualche metropoli americana, dapprima timidamente negli anni '60, con i film di Mario Bava ("La ragazza che sapeva troppo"; "Sei donne per l'assassino"), e poi agli inizi degli anni '70 con l'arrivo di Dario Argento ("L'uccello dalle piume di cristallo"; "Il gatto a nove code"; "Quattro mosche di velluto grigio") e dei suoi epigoni che formarono un solido gruppo di registi specializzati in film gialli dalle tinte fosche e violente, passati alla storia come "thrilling all'italiana", il cinema aveva insegnato che il punto non era dove le storie venivano ambientate, ma come venivano raccontate.
Il successo di queste pellicole aprì le porte della televisione ad Argento che nel 1973 portò qualche stralcio dei suoi incubi metropolitani sul piccolo schermo con la breve serie di telefilm "La porta sul buio". Frenando moltissimo sul sangue e la violenza di cui erano generalmente intrise le sue storie cinematografiche, Argento confezionò, con l'aiuto di alcuni suoi collaboratori di lungo corso, Luigi Cozzi, Alberto Pariante, Mario Foglietti, quattro episodi autoconclusivi, quattro mini-film di un'ora l'uno che scossero profondamente con la loro tecnica e la loro crudezza i canoni un po' ingessati del giallo televisivo della Rai. Ma soprattutto fecero capire che se una storia ben confezionata avveniva in un contesto che lo spettatore conosceva bene, poteva ottenere un effetto anche superiore. Un delitto commesso in una qualche lontana città estera poteva rientrare quasi nell'ordine della fiaba, del gioco. Mentre invece uno perpetrato tra le mura di un appartamento romano, milanese, o napoletano, che avrebbe potuto benissimo essere quello della porta accanto, dava al tutto un sapore più inquietante.
E i nuovi autori che crescevano proprio in quegli anni nella Rai colsero al volo la lezione. Da Felisatti e Pittorru con "Qui Squadra Mobile" e "Albert e l'uomo nero", a Biagio Proietti e Diana Crispo con "Dov'è Anna?", "L'ultimo aereo per Venezia" e "Doppia indagine", gli anni '70 furono tutta una riscoperta delle ambientazioni nostrane per il giallo. E che tutto questo ovviamente rientrasse perfettamente in una nuova politica di maggior parsimonia nelle spese non era solo una felice coincidenza. Ma la Rai si spinse anche più in là, imponendo ambientazioni italiane anche per le vicende scritte da autori stranieri. A partire proprio da quelle di Francis Durbridge.
E la prima storia di Durbridge a subire questa "italianizzazione forzata" fu nel 1976 "Dimenticare Lisa", tratta da "The Doll", uno script in tre puntate che l'autore inglese aveva prodotto per la BBC appena l'anno prima. A differenza, infatti, dei decenni '50 e '60, in cui la televisione inglese mandava in onda le sue mini-serie divise in sei puntate di 30' circa l'una, negli anni '70, la politica aziendale era cambiata e si era deciso per una compattazione delle storie in tre puntate di 60'. Già nel 1971, con il suo script precedente, "The Passenger" (che come molti altri suoi copioni per la televisione non ha mai avuto una versione italiana), Durbridge si era trovato a dover concentrare la vicenda in tre capitoli, diluendo sapientemente la suspence, con un più approfondito scavo psicologico dei personaggi e una migliore preparazione delle situazioni, frutto anche del suo recente amore per il palcoscenico. Quindi con "The Doll" non fece altro che affinare ulteriormente questa evoluzione delle sue tecniche di giallista, scrivendo quella che è ritenuta da molti l'opera migliore del suo ultimo periodo di autore televisivo. Tuttavia la versione italiana, a prescindere dalla differente collocazione territoriale e dai soliti cambiamenti dei nomi dei personaggi, alcuni dei quali stavolta giustificati proprio dalla diversa ambientazione, o delle loro professioni (il protagonista nella storia originale è un editore e non un antiquario) subì delle modifiche che pur non minandone l'impatto nel complesso, diedero soprattutto al finale un'interpretazione piuttosto lontana da quella voluta dall'autore.
Ma esaminiamo rapidamente la trama dello sceneggiato: Peter Goodrich, un antiquario inglese che vive a Napoli dove gestisce una galleria, conosce per caso di ritorno in volo da un viaggio, una ragazza americana, Lisa Carter e se ne sente subito attratto. La simpatia pare reciproca, ma la cosa potrebbe finire lì se casualmente Peter non la incontrasse di nuovo pochi giorni dopo in un garage dove Lisa vuole prendere a noleggio una macchina. L'uomo le offre di utilizzare la sua e fra i due sembra sbocciare qualcosa. Prima da un amico giornalista, Max Finney, e poi dalla stessa donna, Peter apprende le drammatiche circostanze in cui Lisa ha perso il marito Norman, caduto in mare da uno yacht durante una traversata sul Mar Tirreno. Lisa gli racconta che Norman era ossessionato dalla sua passione per le bambole di cui aveva una vasta collezione e che la notte della sua scomparsa, i due avevano avuto un violento alterco perché lei aveva dimenticato di mettere nel bagaglio l'ultima bambola da lui acquistata. Successivamente non trovando il marito da nessuna parte sullo yacht, Lisa si era allarmata, finché aveva scoperto terrorizzata una bambola a galla nella vasca da bagno. La scoperta della bambola aveva preceduto solo di poche ore quella del corpo di Norman, morto annegato. L'inchiesta della polizia non aveva portato a nessuna conclusione certa anche se c'era chi aveva parlato di suicidio. Lisa pare ancora sconvolta dalla recente tragedia e sta recandosi per una visita da un caro amico del marito, Sir Arnold Wyatt, un vecchio avvocato inglese in pensione che vive in una villa nei dintorni. Volendo rivedere la donna, Peter le dà in prestito la sua auto, con l'impegno che gliela restituisca al ritorno. Ma Lisa non torna nè quella sera, né il giorno dopo, e Peter ha la sorpresa di vedersi riportare la macchina da dei poliziotti. La sua auto infatti è stata ritrovata su una strada deserta con un biglietto con sopra il suo indirizzo, ma senza chiavi. Sempre più perplesso e preoccupato, Peter decide di recarsi alla villa di Sir Arnold, ma qui lo attende la sorpresa più inattesa: Sir Arnold afferma di non aver mai conosciuto o sentito parlare nè di Norman né di Lisa Carter e nega assolutamente che quest'ultima gli sia mai venuta a fare visita. L'atmosfera nella villa è comunque misteriosa, e nel parco Peter vede aggirarsi una bambina che stringe tra le braccia una grossa bambola. E una bambola dello stesso tipo ritroverà a galla nella vasca da bagno del suo appartamento. Poco prima che la polizia venga a prelevarlo per portarlo sul luogo in cui è stato ritrovato il cadavere di una donna, ripescata in mare con nella borsetta le chiavi della sua auto...
E fermiamoci qui per non rivelare altri dettagli della diabolica macchinazione che si nasconde dietro la misteriosa Lisa e la sua scomparsa. Basti dire che di volta in volta nella storia si affacceranno personaggi ambigui ed altri forse solo apparentemente amichevoli, come il già citato Max Finney, il non ancora citato ma fondamentale Claude Goodrich, famoso concertista e fratello di Peter, il fotografo Marino che sembra stranamente in possesso di una foto di Lisa che poi ancor più misteriosamente scompare, Greta Lehman, la governante di Sir Arnold, lo stesso Sir Arnold Wyatt che potrebbe nascondere più cose di quanto non appaia, ed un non meglio identificato colonnello Osborne, dei servizi segreti americani, che pare in possesso di tutte le risposte, e lascia invece dietro di sé più enigmi che soluzioni. Il sinistro tema delle bambole a galla sull'acqua che sembrano spuntare in concomitanza con il ritrovamento di cadaveri in mare o altrove, rende la vicenda particolarmente inquietante ed altri morti si aggiungeranno intorno al povero Peter, per il quale Lisa è ormai diventata un'ossessione, prima che la storia giunga ad un finale che, come accennavo prima, sarà però piuttosto diverso da quello originariamente pensato da Durbridge. Ma di questo parleremo più diffusamente in fondo a questo capitolo.
Nell'ottica della lotta agli sprechi della nuova Rai riformata, "Dimenticare Lisa" venne trasmesso in sole tre puntate (come la versione originale, ma con una diversa scansione nei finali di puntata), mandate in onda in tre sabati consecutivi dal 9 al 23 Ottobre 1976 sulla Rete 1. Diretto con buon mestiere da Salvatore Nocita, che l'anno prima era stato il regista del fantascientifico "Gamma", aveva tra gli interpreti Ugo Pagliai (Peter Goodrich), ormai un abitué di teleromanzi del mistero ("Il segno del comando", "L'amaro caso della baronessa di Carini"), ma di ritorno in una storia di Durbridge ben tredici anni dopo "La sciarpa", Marilù Tolo (Lisa Carter), Carlo Enrici (Claude Goodrich), Yanti Sohmer (Greta Lehman), Luciano Melani (Max Finney), Tonino Cuomo (il fotografo Marino), Lucio Flauto (il commissario Bonetti), Sergio Rossi (il colonnello Osborne), ed il grande Emilio Cigoli, "voce italiana" dei più famosi divi di Hollywood, John Wayne e Gary Cooper in testa, nella parte di Sir Arnold Wyatt.
Sostenuto anche dalle belle musiche di Pino Calvi (con l'aggiunta come sigla finale e tema di sottofondo alle apparizioni della seducente Marilù Tolo, niente di meno che dell'ever-green "I Only Have Eyes For You", nell'esecuzione di Art Garfunkel), lo sceneggiato regge piuttosto bene il cambio di ambientazione, proiettando gli spettatori nell'affascinante intrigo di Durbridge, e facendo subito dimenticare gli insoliti luoghi in cui si svolge. Così Londra diventa Napoli, e Poole Harbour e Heatherdown nel Dorset divengono la Marina di Seiano e Meta di Sorrento sulla Costiera Sorrentina senza che la storia subisca troppi contraccolpi.
I contraccolpi li subisce invece quando, per motivi non sempre facilmente decifrabili, il meccanismo attentamente regolato da Durbridge viene caricato di elementi estemporanei che poco o nulla hanno a che vedere con la trama originale. Abbiamo già visto come fin dall'inizio i copioni dello scrittore inglese venivano "gonfiati" dagli adattamenti della Rai per raddoppiare la durata delle puntate, da trenta a sessanta minuti, ma lasciando sostanzialmente invariati gli eventi e la loro successione; poi negli anni a seguire, con l'intervento di un vero e proprio sceneggiatore come Biagio Proietti, si arrivò anche ad inserire nuove trame e addirittura finali posticci (la storia aggiunta del racket delle scommesse in "Come un uragano", e il doppio colpevole in "Lungo il fiume e sull'acqua"), ma il tutto veniva fatto con grande abilità, e in qualche caso il testo originale ne usciva perfino migliorato. Qui invece la traduttrice Franca Cancogni, a cui si deve anche l'adattamento dello script, è da ritenere responsabile (se davvero fece tutto da sola) di alcuni "scivoloni" che non trovano molte giustificazioni. Ne riferirò uno solo, che non coinvolge indizi risolutivi, ma che ha sollevato parecchie perplessità. Nel finale della prima puntata, Peter torna a casa e vede la porta aperta e le luci accese. Dentro qualcuno sta facendo a pezzi con un rasoio la bambola che aveva trovato nella sua vasca. Primi piani sulle mani di questo misterioso individuo, poi Peter entra ed esterrefatto scopre suo fratello Claude che lo fissa con occhi sbarrati, quasi da pazzo. Subito titoli di coda e fine della puntata. Emozionante, vero? Peccato, però, che nulla di questo esista minimamente nel copione originale di Durbridge. Si è trattato infatti di una di quelle trovate estemporanee di cui parlavo. Tanto è vero che nella prima sequenza della puntata successiva, i due si fanno una bella risata liquidando la cosa in un battibaleno. Ora c'è da chiedersi quale funzione potesse avere mai una scena del genere. Gettare sospetti anche sull'apparentemente angelico Claude? Ma non ce ne sarebbe stato alcun bisogno, perché avrebbe provveduto successivamente lo stesso Durbridge a farlo, e in modo di certo più sensato. Oppure creare un cliff-hanger, cioè un colpo di scena ad hoc? Anche questa ragione appare discutibile, visto che Peter ha appena scoperto una di quelle malauguranti bambole a galla nella sua vasca da bagno e subito viene chiamato ad identificare il cadavere di una donna con addosso le chiavi della sua auto. Mi sembra che come cliff-hangers non ci si potesse lamentare. Insomma, per farla breve, una scena assolutamente pretestuosa ed ingiustificabile. Non la sola, purtroppo, come dicevo, ma delle altre tacerò perché rivelerebbero particolari importanti della trama.
Un discorso a parte lo merita invece lo scioglimento finale, e qui dovrò fare degli equilibrismi per spiegarmi cercando nel contempo di non svelare troppo, ma è una cosa che va detta.
La soluzione confusa ed ambigua dello sceneggiato, per molti versi assai insoddisfacente e che lascia tante domande sostanzialmente irrisolte, è perfettamente in linea con il genere di polizieschi televisivi, cinematografici e letterari dell'epoca. Erano quelli che sarebbero poi stati ricordati come gli "anni di piombo". L'Italia era stretta in una morsa di crimini riconducibili ad organizzazioni politiche estremiste che si ipotizzava avessero legami con servizi segreti italiani e stranieri, mossi da fini eversivi e i cui vertici restavano sempre nell'ombra, cioé la cosiddetta "strategia della tensione". Era fatale che scrittori e sceneggiatori si facessero influenzare. Già nel cinema, titoli di film come "La polizia ringrazia", "La polizia ha le mani legate", "La polizia sta a guardare", denunciavano a modo loro uno stato che era ostaggio dei cosiddetti "poteri forti" ed in cui i poliziotti diventavano, o ciechi strumenti di repressione, o emarginati che invocavano inutilmente giustizia, finendo per cercarla magari attraverso la canna di una pistola. Anche in tv, attraverso le cronache e le inchieste giornalistiche, questa realtà era finita per arrivare, e la fiction era solo il passo successivo. Il finale di "Dimenticare Lisa" è molto probabilmente frutto di questa atmosfera. La presenza nella storia originale di agenti dei corpi speciali della polizia britannica che agiscono in segreto, fornì il pretesto per inserirci un po' di "dietrologia", insinuando il sospetto che dietro i tanti delitti della vicenda si nascondessero in realtà chissà quali interessi occulti, protetti dal denaro e dai suddetti "poteri forti". Tradendo però totalmente Durbridge che è quanto di più lontano da queste cose. Nelle sue storie, di qualunque media si avvalgano, radio, cinema, tv, teatro o libri, i finali non lasciano mai incertezze. I colpevoli sono sempre chiaramente indicati, e "The Doll" non fa eccezione. Quindi chi vuole scoprire il vero finale della vicenda deve procurarsi una copia del Giallo Mondadori n.1847 del 24 Giugno 1984, di non difficile reperibilità, dove venne pubblicata la versione romanzata col titolo "La bambola sull'acqua". Lì troverà l'autentica soluzione dell'enigma, piena e soddisfacente, e potrà dare un volto chiaro e definito al misterioso organizzatore di un complesso intrigo a base di ricatti ed omicidi.
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